
Perfettamente innestato nel Discorso Sapienziale delle apparizioni di Ghiaie, il Sacerdozio di padre Candido rappresenta un modello indispensabile di riferimento, non solo per la Chiesa, ma anche, in particolare, per la famiglia del nostro tempo ultimo.
E affinché sia conosciuto in questa luce, abbiamo pensato di offrire qualche riflessione su alcuni brani della “lettera alla mamma” scritta da Candido in preparazione alla professione religiosa (ovvero l’emissione perpetua dei voti di povertà, castità e obbedienza),
mettendo in rilievo innanzitutto, il suo desiderio di condurre in Paradiso la mamma e, con lei, tutti i propri cari, così da ritrovarli, tutti uniti, con Gesù, in una sola famiglia.
«Nel felice istante in cui celebrerò le mie divine nozze, chiederò a Gesù che in Paradiso, ove sono io, stiate anche tu, il babbo e tutti i cari fratelli e sorelle. Ci uniremo per sempre in una solo famiglia»
Così scrive Candido alla mamma, manifestando in questo desiderio molto semplice, un fondamento importante del suo Sacerdozio e della spiritualità delle apparizioni di Ghiaie.
Nella semplice preghiera a Gesù, Candido raccoglie il desiderio della Santa Vergine di raccogliere tutti i Suoi figli in “Celo”, e dunque l’esortazione della stessa Santa Vergine alla preghiera, alla penitenza, al sacrificio, all’offerta della sofferenza, e alla rinuncia al peccato, affinché nessuno si perda.
Il Sacerdote, per Candido, è dunque, innanzitutto, il Missionario della Chiesa chiamata a condurre la famiglia dei figli di Dio, redenti dal peccato, alla Comunione con Cristo.
Missione che richiede d’essere un uomo nuovo; come il Sacerdote lo diventa grazie alla professione religiosa; la quale, come un nuovo battesimo, lo purifica separandolo dal mondo e dalla carne, perché possa vivere come un angelo per amare e salvare i fratelli.
«Ormai vivo sulla terra come un Angelo. Non mi preoccuperò più della terra se non per fare del bene ai miei fratelli, per salvarli, benedirli e perdonare i loro peccati»
scrive ancora Candido alla mamma.
E perché tutti i fratelli di questa grande famiglia – vedendo nel Sacerdote, colui che appartiene totalmente, in eterno, a Cristo – tendano al “Celo” per poter vivere in comunione con Cristo,
nella totale esultanza dello spirito dichiara:
«Il mio Sposo Verginale, nel giorno delle mie nozze mi darà un nome nuovo e una veste più bianca del mio nome e si legherà perpetuamente il mio cuore, le mie potenze e i miei sensi, tutto ciò che sono se lo legherà a sé perché sarò per sempre suo in eterno! Non sarò più io cara mamma, starò sulla terra, ma col mio spirito, col mio cuore, abiterò lassù nel celo, vicino al mio eterno Amore».
Inoltre, affinché tutti possano partecipare alla Gloria di Dio e udire estasiati il cantico che solo ai Vergini è dato di cantare, Candido eleva il Sacerdote indicando il posto eccelso preparato per lui, da Cristo.
«Coloro che hanno scelto Gesù solo, costoro avranno un posto distinto, elevato, glorioso nel celo, saranno vicini al trono di Dio. I Vergini seguiranno Gesù, l’Agnello Immolato e canteranno un cantico che ad essi soli sarà dato di cantare e porteranno un nome tutto celeste»
Per Candido, il Sacerdote assurge, in questa Luce Divina, a modello più elevato di unione sponsale, fortemente espresso nella seguente dichiarazione:
«Io ho scelto liberamente per mio sposo nientemeno che Iddio, Gesù, figlio di Maria Vergine, colui che non si pasce tra gli amori della terra, amori divisi in mille parti; ma alberga solo nelle anime pure, sue spose per la professione religiosa»
E’ questo un brano molto importante della lettera di Candido alla mamma, perché permette di ricondurre il connubio sponsale che unisce il Sacerdote a Cristo, al tema fondamentale delle apparizioni di Ghiaie: la Diade d’Amore figura delle mistiche nozze fra Cristo e la Chiesa.
La coppia di colombi bianchi anticipatori delle apparizioni – che conducono lo sguardo di Adelaide nel fulgore della Luce alla coppia dell’Incarnazione – non simboleggia infatti, solo il legame d’amicizia e d’amore coniugale, ma, ancor prima, l’unione dell’anima con lo Sposo Divino, come la esprime Candido, con tutta la passione ardente del cuore sacerdotale, colmo di amore per Cristo Sposo Eterno dell’anima.
Il Sacerdote diventa così, il testimone dell”Amore, in particolare per i coniugi e la famiglia concepita nel suo fine ultimo, come passaggio alla Comunione con Dio nell’arduo cammino di croce sulla terra.
Per questo Candido, chiede alla mamma, per il mistico matrimonio con Cristo, il dono di un Crocifisso.
«Mi manderai un bel crocifisso, ultimo e unico dono che ti chiedo su questa terra. Che esso sia bello grande e di metallo. Scegli quello che a te più piace. Nel momento solenne della mia Professione religiosa, mentre il mio mistico matrimonio con Gesù si effettuerà per l’emissione perpetua di tre voti di povertà, castità e obbedienza, lo terrò stretto sul mio cuore. Il crocifisso da te baciato e benedetto sarà come la materna mano che mi aiuta ad offrirmi a Dio senza riserva. Lo porterò sempre sul mio petto quando, fra non molti anni, sacerdote, lo mostrerò alle folle nelle sante missioni. Quando la gente lo bacerà, il bacio sia per Gesù mio sposo e per te che mi hai dato la vita»
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* Padre Candido usa la parola “celo” per distinguere il Celo di Dio dal cielo atmosferico.
L’offerta della vita in favore del bambino malato (raccontata nelle riflessioni di questo sito) con cui padre Candido, santo Sacerdote, chiude la sua vita terrena, emergerà in tutta la Luce di Grazia comprendendo sempre più il suo amore per Gesù Crocifisso.
La prossima riflessione riguarderà le pagine del Diario di Candido dedicate agli Esercizi in preparazione alla tonsura
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LETTERA DI PADRE CANDIDO ALLA MAMMA, IN PREPARAZIONE ALLA PROFESSIONE RELIGIOSA
Mamma dolcissima forse questo è il mio ultimo scritto che ti giunge come figlio della terra. Il tuo unico fiore fra giorni, nell’intima esultanza del suo spirito e del suo corpo, celebrerà il suo mistico sposalizio col Re dei Vergini. Quale gioia sia la mia lo puoi immaginare. Non invidio nessun matrimonio carnale, oggi io mi sento superiore alla carne e al sangue impuro degli uomini, e con la piena consapevolezza dei miei 24 anni celebro, fra l’esultanza degli angeli, tra il gaudio di Maria, mia dolcissima Mamma, e fra il tripudio di tutto il celo, le mie perpetue nozze con l’agnello I.
Mamma cara mi hai dato un corpo e ti ringrazio, questo mio corpo però lo consacro a Dio. Nulla mi alletta sulla terra, non mi seduce l’effimera sua bellezza che oggi è e domani è un sacco di putridume e vermi. Si uniscano i miei fratelli col sangue e con la carne corrotta di Adamo, io ho scelto liberamente per mio sposo nientemeno che Iddio, Gesù, figlio di Maria Vergine, colui che non si pasce tra gli amori della terra, amori divisi in mille parti; ma alberga solo nelle anime pure, sue spose per la professione religiosa.
Il mio cuore, che ho serbato intatto per Gesù solo, oggi non è più mio; Egli me lo ha preso e se l’è portato in cielo perché le brutture di questo secolo non lo imbratti.
Non piangere mamma adorata che il tuo Candido abbia preso una decisione inconsulta, no, sono cosciente di quello che faccio. Il mio Sposo Verginale, nel giorno delle mie nozze mi darà un nome nuovo e una veste più bianca del mio nome e si legherà perpetuamente il mio cuore, le mie potenze e i miei sensi, tutto ciò che sono se lo legherà a sé perché sarò per sempre suo in eterno!
Non sarò più io cara mamma, starò sulla terra, ma col mio spirito, col mio cuore, abiterò lassù nel cielo, vicino al mio eterno Amore.
Gli uomini perdono i loro amanti dopo poco tempo, io invece no, perché il mio Sposo divino è eterno, è stato colui che ha infuso nel mio corpo l’anima e su questa terra non farò altro che desiderare di unirmi perpetuamente a lui, unico e solo sposo dell’anima mia.
Pensa, mamma, quale gloria avrà il tuo piccolo fiore che tanto ami, cui desideri ogni bene. Io non conosco nessun altro su questa terra che Gesù, non penso che a lui, non desidero e non amo più nessuno all’infuori di Lui Gesù, il mio diletto sposo.
Quale premio mi tiene preparato Gesù! Tu non lo sai forse, io sì. Come parlano i Sacri libri ispirati dallo Spirito Santo è facile dedurlo. Così dicono le sacre carte: “ Coloro che hanno scelto Gesù solo, costoro avranno un posto distinto, elevato, glorioso nel celo, saranno vicini al trono di Dio. I Vergini seguiranno Gesù, l’Agnello I. e canteranno un cantico che ad essi soli sarà dato di cantare e porteranno un nome tutto celeste”.
In questo mondo queste cose pochi le sanno, che si fosse dato ad intenderle tutta la terra diventerebbe un convento. Quando in cielo mi vedrai, solo, unico della nostra famiglia consacrato a Dio, seguire per ogni dove Dio, dal posto di gloria che ti sarai meritata, mi guarderai così bello, così divino, che rimarrai meravigliata che il tuo Candido si sia arrampicato così in alto. Tu mi chiamerai e io ti sorriderò. Ci ameremo tanto, adorata mamma, ci vorremo sempre bene.
Il mio nome di battesimo è stato profetico: Candido. Il mio candore, la mia purezza, l’ho serbata per l’unico Candido, Gesù.
Nel felice istante in cui celebrerò le mie divine nozze, chiederò a Gesù che in Paradiso, ove sono io, stiate anche tu, il babbo e tutti i cari fratelli e sorelle. Ci uniremo per sempre in una solo famiglia.
Mamma ti chiedo per l’ultima volta la santa benedizione, voglio essere consacrato a Dio per le tue mani e col tuo consenso come l’offerta più pura e santa che puoi fargli su questa terra. Lascio ai miei fratelli la terra, per me scelgo il celo, il vero celo, Gesù.
Pensa, mamma, che in quel giorno il tuo Candido sarà bello e puro come nel giorno del Santo Battesimo. Sì, la professione religiosa è paragonata al battesimo e ne produce anche gli effetti. Tutto il mio passato sarà cancellato sarò un uomo nuovo. O sì, quel giorno, dopo il sacro sposalizio, chiederò a Gesù, se così a lui piacerà, di portarmi subito con sé in celo. Quel giorno sarà per me il più bello della vita. Non mi coprirà un panno nero, ma mi coprirà il manto di Maria. Se morirò quel giorno volerò diritto in celo senza toccare il purgatorio, non pregherete per il riposo della mia anima. Quanto è buono Gesù!
Quel giorno mi farai un bel regalo. Mi manderai un bel crocifisso, ultimo e unico dono che ti chiedo su questa terra. Che esso sia bello grande e di metallo. Scegli quello che a te più piace. Nel momento solenne della mia Professione religiosa, mentre il mio mistico matrimonio con Gesù si effettuerà per l’emissione perpetua di tre voti di povertà, castità e obbedienza, lo terrò stretto sul mio cuore. Il crocifisso da te baciato e benedetto sarà come la materna mano che mi aiuta ad offrirmi a Dio senza riserva. Lo porterò sempre sul mio petto quando, fra non molti anni, sacerdote, lo mostrerò alle folle nelle sante missioni. Quando la gente lo bacerà, il bacio sia per Gesù mio sposo e per te che mi hai dato la vita.
Ormai vivo sulla terra come un Angelo. Non mi preoccuperò più della terra se non per fare del bene ai miei fratelli, per salvarli, benedirli e perdonare i loro peccati.
Non temere, mamma cara, sì, sono debole, impotente, inesperto, circondato da un mondo seduttore. Gesù, mio sposo divino è la mia fortezza, quello che è suo è mio, e quello che è mio è suo. Egli è il mio sostegno. Non sarò più solo, al mio fianco c’è colui che mi ama più che ogni creatura, non permetterà ch’io cada. Il mondo col suo fasto non mi seduce. Che cosa è infatti, se non creatura fatta dal mio sposo? Il mondo esala pestiferi odori, il mio diletto invece si pasce tra i gigli, tra le anime che hanno serbato intatto il fiore dei loro anni per l’unico amante.
Fa celebrare per me una S. Messa all’altare della Madonna. Metti l’intenzione che vuoi, che quella sarà pure la mia. Prega sempre per me perché i legami che mi stringono a Dio siano perenni come il mio amore.
Addio mamma, non piangere per me, se le lacrime righeranno il tuo ciglio siano di gioia e di riconoscenza a Dio e alla Vergine che ha voluto strapparmi dal mondo cattivo e trapiantarmi nel giardino fiorente della Congregazione dei Mis. Figli del C. I. di Maria.
Non ti spaventi l’altezza e il grado di nobiltà che il mio Divino Sposo mi ha donato, ricordati sempre il canto della Vergine. Dio ha esaltato gli umili. Quante anime più belle di me e più sante ci sono nel mondo! Dio ha scelto solo me.

PADRE CANDIDO: SACERDOTE DELLA MISERICORDIA, SECONDO IL SACRO CUORE DI MARIA.

Padre Candido è, non solo il principale testimone delle apparizioni di Ghiaie, ma, soprattutto, l’espressione sacerdotale più elevata e viva della spiritualità delle stesse apparizioni,
che non possono essere comprese senza incontrare Candido nell’anima “mariana” e scoprirvi la Missione ricevuta dal Cielo nella prima infanzia, insieme alla Vocazione Sacerdotale, confermata dalla santa Vergine, attraverso la piccola Adelaide, il 14 maggio 1944 (giorno della seconda apparizione di Ghiaie), con queste parole:
“Sì, egli si farà Sacerdote Missionario secondo il mio Sacro Cuore“.
Profezia chiarissima, che suscita tuttavia, molte domande.
Innanzitutto: cos’ha capito Candido?
Anche se devotissimo della santa Vergine (in quell’apparizione condivide con Adelaide la corona del rosario che teneva sempre con sé), di certo non poteva cogliere appieno, in quel momento, il significato profondo delle parole della Madonna,
ma subito ha creduto, felice di diventare Sacerdote secondo il Suo Sacro Cuore.
Per questo, con l’aiuto di padre Felice Murachelli – un generoso prete bresciano conosciuto a Ghiaie durante le apparizioni e diventato sua preziosa guida spirituale – a guerra terminata, entra al “Claretanum” (collegio internazionale dei Missionari figli del Cuore di Maria, a Roma).
E’ l’approdo sognato da sempre per realizzare il desiderio tanto agognato di diventare Sacerdote.
E Candido vi accede al colmo dell’entusiasmo,
ignaro che proprio in quel sacro luogo della più alta formazione cristiana, ben presto avrebbe iniziato un terribile martirio.
Le umiliazioni e le persecuzioni sopportate a causa della sua schiettezza e rettitudine, oltre a una grave malattia, lo portano a un pericoloso deperimento fisico, fino al punto di morte. Ma resiste, intrepido, superando ogni ostacolo, pronto a testimoniare, in un totale affidamento alla Santa Vergine apparsa a Ghiaie, anche col sangue, che proprio Lei lo ha scelto quale ministro sacro, testimone dell’Amore, secondo il Suo Sacro Cuore.
Rivolgendosi alla Santa Vergine apparsa a Ghiaie, in una pagina del diario, nel luglio 1956, così scrive:
Cara Madonna, dolce Madonna del mio paesello, come ti sento vicino a me, con il tuo influsso, come ti sento in me e fuori di me. Vorrei testimoniare col mio sangue la tua venuta alle Ghiaie e la mia vocazione è un miracolo continuato della tua promessa. Se tu non fossi apparsa davvero io non sarei oggi quel che sono. Tu lo sai, cara Madonna, che senza il tuo aiuto e il tuo intervento nei miei riguardi io avrei già da anni abbandonato la strada che tu mi hai tracciato alle Ghiaie. Ma tu mi hai sempre salvato malgrado tutti gli sforzi dell’inferno e della mia cattiveria. Maria, io credo, sì, lo credo fino ad effondere il mio sangue per te, per testimoniare davanti al mondo e agli increduli che tu mi hai veramente scelto per tuo ministro. Maria, tu sei la ragione, lo scopo di tutta la mia esistenza. Senza di te la mia vita non ha senso, senza di te il mio terrestre pellegrinare un inferno. Grazie, o Madonna del mio paesello, Madonna la più miracolosa, perché fino ad oggi, tu lo sai, io sono un miracolo continuato della tua bontà e della tua potenza sul male.
Candido rinnova ogni giorno, in quegli anni, la consacrazione alla santa Vergine, e il suo totale affidamento a Lei, entrando così, nella più intima comunione con il Suo Sacro Cuore, fino a comprendere, nella luce viva del proprio spirito, quale Spirito Missionario deve nutrire la Vocazione Sacerdotale, cui è stato chiamato.
Lo “confesserà” nelle meditazioni dedicate agli “Esercizi di preparazione alla Tonsura”, al centro della pagina del suo diario del 21 marzo 1957,
nella quale (pagina) – dopo un accurato esame di coscienza volto a riconoscere il difetto da correggere, “ostacolo maggiore alla santità“, per non perdere le anime, e aver individuato nella Purezza, Pietà, Umiltà, Sottomissione, le virtù “necessarie a colui che vuol essere un altro Cristo” – così scrive:
Mi faccio Sacerdote per salvare le anime. Siano queste poche o molte, il Signore lo sa. Il fuoco dello zelo mi deve incendiare per sacrificarmi di più per la conversione dei poveri peccatori.
Penso sin da questo istante alla – CONGREGAZIONE DELLE ANGELICHE FIGLIE DEL CUORE DI MARIA – che si dedicheranno alla conversione dei poveri peccatori. La nuova Congregazione avrà come fondatrice il Cuore di Maria che me l’ha ispirata. Io non sono altro che uno strumento indegnissimo nelle Sue Immacolate mani, non sono altro che un raggio di fuoco che zampilla dal Cuore di Maria. Vi saranno le Sorelle secolari per agevolare meglio il lavoro spirituale e materiale delle Figlie angeliche. Il lavoro abbraccerà tutti i rami. Tutti i mezzi sono nelle loro mani trasformati in arma di bene.
Maria, agli albori dell’ascesa al Sacerdozio ti consacro i miei sentimenti e le mie energie per la conversione dei poveri peccatori, di cui io stesso sono il più grande.
Fino all’Ordinazione Sacerdotale (nel 1959), Candido continuerà a offrire il martirio per la Missione indicatagli dalla santa Vergine,
che proprio al Seminario inizia a prendere forma, e che sarà confermata, poco dopo l’Ordinazione Sacerdotale, da un grande santo.
Accadrà – come affermano testimoni molto credibili – in occasione di un pellegrinaggio con altri giovani preti, partiti da Roma, per incontrare padre Pio, a Monterotondo.
Dove Candido, accodato con loro, alla folla dei pellegrini, a un tratto viene chiamato da padre Pio, che, dopo averlo indicato, lo invita ad andare da lui, e lo attende sfilandosi un guanto per donarglielo, come farà quando Candido sarà dinnanzi a lui, pronunciando queste parole: tu sarai Missionario della Misericordia.
Non poteva essere più chiara la conferma della profezia della santa Vergine.
Ed è proprio per conto della stessa santa Vergine, quale suo figlio prediletto, che quel giorno, padre Pio, col dono del guanto segnato dal sangue delle stimmate, e dunque dalla Santa Passione di Cristo Misericordioso, elegge Candido dichiarandolo, per volontà di Dio, Sacerdote Missionario della Misericordia, affinché con quel titolo sia riconosciuto nella Chiesa.

Padre Pio già vedeva che Candido sarebbe stato straziato nell’anima da umiliazioni incessanti culminate da un’atroce calunnia, ordita all’interno della Chiesa, per distruggere in lui la Missione scelta dal Cielo.
Come cercheremo di raccontare, per quanto sarà possibile.
Per ora ci soffermiamo a constatare che, grazie alla conferma di padre Pio, la profezia pronunciata dalla Santa Vergine nella seconda apparizione di Ghiaie, si delinea in tutta evidenza completandosi.
- Alle parole pronunciate dalla santa Vergine il 14 maggio 1944:
Sì, egli si farà Sacerdote Missionario secondo il mio Sacro Cuore.
- Per conto della stessa santa Vergine, padre Pio ha aggiunto:
tu sarai Missionario della Misericordia.
- Così, unendo le due frasi possiamo dire che:
nel Disegno di Dio Santissima Trinità per la Redenzione del mondo, nel Quale sono contemplate, fin dal Principio, le apparizioni della santa Vergine a Ghiaie, Candido è stato eletto, quale testimone delle stesse apparizioni, come Sacerdote Missionario della Divina Misericordia secondo il Sacro Cuore di Maria.
Conclusione estremamente chiara, nella quale tuttavia, colpisce un particolare, e qualche domanda sorge spontanea.
Ovvero:
- perché la santa Vergine ha voluto porre una precisa condizione alla Missione affidata a Candido dalla Divina Provvidenza, aggiungendo: secondo il mio Sacro Cuore?
- Perché ha usato la preposizione “secondo“, che introduce un oggetto inespresso.
- Quale Spirito avrebbe dovuto ritrovare, Candido, nel Sacro Cuore di Maria, secondo il quale vivere la Missione a lui affidata dal Cielo?
- O meglio: quale Regola avrebbe dovuto ritrovare, nel Sacro Cuore di Maria, secondo la quale ordinare la propria Vocazione Sacerdotale alla Missione provvidenzialmente a lui affidata dal Cielo (e chiaramente intuita, il giorno della tonsura, nella ideazione della CONGREGAZIONE DELLE ANGELICHE FIGLIE DEL CUORE DI MARIA)?
Domande – lo comprendiamo – estremamente impegnative, per rispondere alle quali – prima ancora di entrare nel profondo dell’anima “mariana” di Candido, tenuta da lui accuratamente celata – abbiamo pensato di offrire, come propedeutico, un brano stupendo del capitolo “La Madre della misericordia” – della lettera enciclica “Dives in Misericordia” del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II sulla Misericordia Divina (30 novembre, Domenica I d’Avvento, dell’anno 1980) – che certamente Candido ben conosceva e condivideva con tutta l’anima sacerdotale totalmente consacrata al Cuore di Maria.
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Maria è anche colei che, in modo particolare ed eccezionale – come nessun altro – ha sperimentato la misericordia e al tempo stesso, sempre in modo eccezionale, ha reso possibile col sacrificio del cuore la propria partecipazione alla rivelazione della misericordia divina.
Nessuno al pari di lei, Maria, ha accolto col cuore quel mistero: quella dimensione veramente divina della redenzione che ebbe attuazione sul Calvario mediante la morte del Figlio, insieme al sacrificio del suo cuore di madre, insieme al suo definitivo «fiat».
Maria quindi è colei che conosce più a fondo il mistero della misericordia divina, colei che, attraverso la partecipazione nascosta e al tempo stesso incomparabile alla missione messianica del suo Figlio, è stata chiamata in modo speciale ad avvicinare agli uomini quell’amore che egli era venuto a rivelare,
amore «misericordioso», che viene manifestato soprattutto a contatto con il male morale e fisico, al quale partecipava in modo singolare ed eccezionale il cuore di colei che fu Madre del Crocifisso e del Risorto.
Ed in lei e per mezzo di lei, esso non cessa di rivelarsi nella storia della Chiesa e dell’umanità. Tale rivelazione è specialmente fruttuosa, perché si fonda, nella Madre di Dio, sul singolare tatto del suo cuore materno, sulla sua particolare sensibilità, sulla sua particolare idoneità a raggiungere tutti coloro che accettano più facilmente l’amore misericordioso da parte di una madre.
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Continueremo a scrivere di Candido, in particolare della sua vita interiore totalmente sconosciuta e ignorata,
Per ora, e a conclusione della presente riflessione,
- ricordando che il giorno nel quale Candido riceve, dalla santa Vergine, la conferma di farsi Sacerdote Missionario secondo il Suo Sacro Cuore di Madre, Adelaide viene chiamata, dalla stessa santa Vergine, a farsi Suora Sacrametina, e dunque adoratrice del Figlio Eucaristico, secondo il Suo Sacro Cuore di Madre;
- si ritiene necessario intravedere – nella stretta correlazione fra la Missione affidata dalla santa Vergine a Candido e la Missione affidata dalla stessa santa Vergine ad Adelaide – la GRANDE OPERA EUCARISTICA affidata, in obbedienza alla Divina Volontà, dalla santa Vergine, a Ghiaie, PER IL SUO TRIONFO;
alla quale OPERA, tutti i figli di Dio e della Chiesa, sono invitati a partecipare, come:
- Apostoli della Divina Misericordia secondo il Sacro Cuore di Maria, chiamati a vivere sulla terra come angeli del Bene per la conversione dei fratelli all’Amore di Cristo Eucarestia;
- Adoratori di Cristo Eucarestia, secondo il Sacro Cuore di Maria, chiamati a vivere sulla terra, come angeli del Sacrificio, per l’espiazione dei peccati e la redenzione delle anime dei fratelli.
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PS: il guanto di padre Pio non è integro perché il medico di Bologna al quale padre Candido l’ha affidato per una persona in gravi condizioni, ha voluto trattenerne un frammento.
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PADRE CANDIDO: L’OFFERTA DELLA VITA

Per iniziare a conoscere Candido, dal quale scaturisce la storia delle apparizioni di Ghiaie, si offre il racconto dell’olocausto della sua vita, nel quale si riassume la sua Missione Sacerdotale che la Madonna prefigurerà nella seconda apparizione del 14 maggio 1944, dicendo ad Adelaide le seguenti parole:
Egli si farà Sacerdote Missionario secondo il mio Sacro Cuore
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La guarigione di Stefano (secondo nome del bambino al quale padre Candido ha donato la vita)
Bambino felice pieno di vita, Stefano un giorno dice alla mamma Maria:
– Mamma sai che mi fa male un po’ qua.
La mamma lo porta al Pronto Soccorso dove conosce dei medici. Dopo un’ora e mezzo a Stefano viene diagnosticato un tumore di diciotto centimetri al rene destro. Che gli viene tolto con intervento chirurgico. Sottoposto a chemioterapia sembra tutto risolto. I medici sono fiduciosi. Ma al ritorno dalla vacanza, dopo i controlli, purtroppo il referto non fa ben sperare. Il papà che ha sentito i medici è preoccupato. La mamma è spaventata.
Un’amica allora propone alla mamma di andare a Sotto il monte. Maria però, preferisce recarsi a Ghiaie perché ricorda di non essere stata ben accolta a Sotto il Monte, mentre a Ghiaie, le avevano detto che ognuno può pregare liberamente. Così, il giorno seguente, con l’amica parte per Ghiaie, e alla cappelletta si unisce a un gruppo di preghiera per la guarigione di Stefano. Poi si allontana per tornare a casa, e sale in automobile. Ma in quel mentre vede arrivare due frati, e si ferma, anche perché l’amica la invita ad andare da loro.
Maria però, è perplessa. Le chiede cosa possa interessare a quei religiosi la malattia del proprio figliolo. – Ma è il loro mestiere – le dice l’amica. Confortata da queste parole Maria acconsente, scende dall’automobile, e si trova di fronte a padre Candido.
– Cosa c’è mamma, cosa c’è? – le domanda padre Candido vedendola afflitta.
– Mio figlio! Mio figlio! – risponde Maria fra le lacrime.
– Ce l’ha una foto di suo figlio? – le domanda padre Candido.
Maria non capisce a cosa può servire, ma cerca nel portafoglio e gli offre una foto del figlio.
– Dobbiamo pregare. Mi dia il suo numero di telefono – le dice ancora padre Candido guardando la foto. – Sono un frate domenicano di Bologna e sono qui di passaggio – la rassicura – Dobbiamo pregare. Vado subito dalle suore di Azzano. Dobbiamo pregare per il bambino.
Tornata a casa, Maria racconta l’incontro con quel frate al marito, e proprio mentre lo ricorda suona il telefono. E’ padre Candido. Sono passate due ore dall’incontro alla cappelletta
-Vorrei vedere il suo bambino – le dice padre Candido al telefono.
Maria non capisce. – Ma come posso recarmi a Bologna?- gli domanda.
– Sono ancora qui, alloggiato da una parente. Venga di nuovo alle Ghiaie. Ci troviamo in Parrocchia. Vorrei vedere il suo bambino – le ripete.
Maria non esita. Accetta. Gli propone l’incontro per la sera, e ritorna a Ghiaie con l’amica e Stefano.
Padre Candido li aspetta in chiesa.
Non appena lo vede, Stefano lascia la mano della mamma e va incontro spontaneamente a padre Candido come lo conoscesse, e insieme si recano dinnanzi all’immagine della Madonna, a sinistra dell’altare.
Quella sera Maria torna a casa più tranquilla.
Ma il giorno seguente tutto sembra peggiorare, perché, all’ospedale, i medici riscontrano una metastasi polmonare.
Ricoverato d’urgenza Stefano viene operato.
Purtroppo, l’operazione riesce solo parzialmente. Il tumore polmonare è diffuso. Serve rioperarlo, dicono i medici. Ma Stefano non vuole. E’ molto provato.
Maria non resiste. Si oppone a un nuovo intervento. Torna a casa e chiama subito padre Candido – Non era un solo nodulo, ma più di uno – gli dice Maria. – E sì – conferma padre Candido come già sapesse – Ma non ha mai pensato ad uno spostamento di ospedale, a Milano? – le domanda.
Maria non capisce quel consiglio. Non sa che fare. Dopo mezz’ora però, ignaro del consiglio di padre Candido, il marito propone a Maria di spostare il bambino all’Istituto Tumori di Milano su indicazione del nipote della cognata che ha incontrato il Viceprimario della Pediatria Oncologica. – Proprio come mi ha detto padre Candido! – gli conferma stupita Maria.
E così Stefano viene spostato con celerità a Milano. Mentre padre Candido torna al Convento di Bologna, da dove segue il decorso della malattia di Stefano. Ogni giorno gli parla al telefono e lo solleva dagli effetti delle cure chemioterapiche.
Purtroppo, qualche giorno più tardi viene riscontrata un’ombra nera nel polmone del bimbo, all’altezza della terza costola destra. I medici sono allarmati. Hanno visto in quell’ombra l’estensione del tumore. Ma padre Candido, sicuro la tranquillizza: – E’ il segno dell’intervento operatorio precedente – le dice.
Alcuni giorni dopo, i medici le annunciano meravigliati, che l’ombra è svanita e Stefano, perfettamente guarito, può lasciare l’ospedale.
Giusto in tempo per portarlo a Bologna, alla cerimonia d’ingresso di padre Candido nella Congregazione dei frati domenicani.
E’ un vero trionfo. Una festa grande!
Dopo quel giorno però, tutto cambia di nuovo.
Padre Candido non si fa trovare. Cerca di evitare le visite perché è gravemente ammalato, ma non vuol farlo sapere. Tutti devono ignorare, eccetto il medico curante, che soffre di un cancro ai polmoni insorto proprio nello stesso punto nel quale il male aveva aggredito Stefano per farlo morire.
E dopo qualche anno, minato da quel male, lo stesso che avrebbe stroncato la vita di Stefano, padre Candido passa oltre questa vita, accompagnato nel dolore dall’Emanuel.
(I documenti che attestano questa guarigione sono conservati dalla famiglia di Stefano)
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L’offerta di padre Candido, olocausto d’amore e testimone della paternità di Dio, la si comprende nel seguente scritto, frutto di un’adorazione Eucaristica, ritrovato dopo la sua morte.
Piccolo grappolo maturo che rosseggi al sole, così colmo e gonfio di nettare che diventerà sangue nelle mie mani e laverà le scorie del tuo spirito che splenderà al fuoco irresistibile del mio amore, ti prego lasciati torturare dal tuo Dio che ti pensa e ti ricostruisce giorno dopo giorno con infinita pazienza. Sono stato Io ad inventare il lavoro dello spirito. sono Io che sto camminando lungo i filari dei miei prediletti grappoli. Ed oggi mi fermo con passo sicuro davanti a te e sento il profumo della terra; olezzanti di erbe sono i miei piedi che spandono nel campo la mirra della solitudine e del deserto. Sono Io che mi fermo e ti fisso con sguardo profondo quasi a leggerti l’anima al sole meridiano. Sono Io piccolo grappolo rivestito del velluto rosso che attendevi alle tue nozze. Vedo le ferite che come bocche rosseggiano al sole e mi attira lo stillare silenzioso del tuo sangue che dal profondo cuore sale alla superficie per innamorare Colui che tu ami e attendi nel mistero di una mistica morte che non viene mai da quando è cominciata ed esplode in un canto innamorato che mi conquide il cuore. E sto in adorazione ascoltando l’armonia di parole mai dette che mi legano al tralcio armonioso quasi fosse vivo braccio che vuol trattenermi in colloquio infocato di forza misteriosa e mi trattiene e mi devo fermare. Chi sei tu per me grappolo rosso se non l’olocausto, il sogno di un Dio che, ferito nell’anima ferma il suo piede davanti a te? Chi sei nella tua solitudine se non un pensiero che m’ero dimenticato lungo il dissodare il campo del padre mio. Tu sei un segreto che ho lasciato apposta appeso ai filari perché mi cantasse la sinfonia di tempi passati, eterni, non tanto recenti. Vorrei coglierti, spremerti nelle mie mani, sentire il tuo silente martirio per farmi dissetare mentre sta bruciando il mio amore, piccolo grappolo abbandonato per far piacere a Dio. Ti bevo piccolo calice amoroso e ti benedico di aver appagato l’arsura divina di un pellegrino in cerca di pietà. Ora sei in me vivissimo, ti sento come un bimbo abbandonato sul cuore di una madre felice di aver donato tutto; e ti senti ricco e povero perché al risveglio di domani una nuova missione di impegno ti attende. Lo sai che i ministri miei devono essere come me strenui camminatori, martiri d’amore, scaltri operai della Misericordia, insonni lottatori, olocausti sino all’ultima goccia. A volte li uso come acido per purificare, ma li voglio senza guanti perché capiscano che devono giocare sulla loro pelle bruciata e sanguinolente il dono della redenzione dei loro fratelli e figli. Vi voglio mai stanchi, mai fermi, ma operai con l’aratro in mano per fendere in due il male e offrire così al sole di Dio le piaghe del dolore. A te, ora che ho spremuto impaziente e avidamente ho bevuto al calice del cuore tremante e amante, il mio messaggio che scrivo col mio fuoco ardente e purificatore. E se desideri essere docile scalpellerò con i chiodi arrugginiti del Calvario per trarne il volto nuovo di una paternità simile alla mia. So che mi sogni e sei abituato a calcare la strada impervia e crocifiggente del martirio d’amore e della solitudine. Voglio lavorarti fino all’anima. Non desidero che gli amici di viaggio ti dicano frasi banali. Voglio che vedano il Cristo totale in te che porta sulle spalle il pianto, la carne lacerata, l’anima tramortita dal malvagio dei tuoi fratelli. Oggi però voglio che assapori la gioia della nuova paternità per il mio piccolo fiore, quello che ami chiamare il tuo…. Te lo affido come mia proprietà perché per me hai rinunciato alla paternità umana. Tienilo nel tuo cuore, accarezzalo innamorati di lui, di quell’anima limpida. Te lo metto vicino perché gli sia da padre come per me lo fu Giuseppe mio. Il valore della paternità, lo capisci è amare, è essere insonne, è dimenticare per essere lui. E’ la paternità spirituale che è simile a quella di Dio.
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LA MORTE DI PADRE CANDIDO
Prima di iniziare a raccontare la morte di padre Candido, ricordiamo che, ordinato sacerdote nel 1959 nella Congregazione dei Missionari del Cuore di Maria, dopo 29 anni, nel 1988, Candido chiede di essere accolto nell’Ordine di san Domenico, dove percorre tutte le tappe, Postulandato e Noviziato, emettendo i voti solenni, a 64 anni, il giorno 11 settembre 1994; data d’inizio del successivo breve racconto, nel quale, con il pronome “lei” si indica la persona che lo ha accompagnato per tutto il tempo della malattia fino al suo ultimo respiro.
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Anche lei era presente quel giorno, alla cerimonia, ansiosa più degli altri di vederlo finalmente felice. Perché, più degli altri, sapeva bene quanto gli era costato ricominciare coi ragazzi del noviziato, nonostante fosse prete da 30 anni, e quale pena aveva conservato nel segreto del cuore, senza mai dire nulla. Per tutto il viaggio aveva temuto di scorgere ancora sul suo volto quel dolore nascosto. Ma nel vederlo finalmente tanto allegro, gioviale, sereno e fiero, si era rasserenata. Candido aveva distribuito a tutti, radioso in volto, abbracci e sorrisi; un po’ affaticato, ma veramente felice, proprio come colui che dopo una faticosa salita giunge in vista della vetta tanto agognata. E anche lei, quel giorno, come gli altri aveva nutrito nel cuore la speranza che tutto fosse passato, finalmente.
Nei giorni seguenti, però, l’apprensione aveva preso di nuovo il sopravvento quando non si era fatto trovare. E non solo da lei. Come avesse voluto nascondersi, Candido aveva evitato le visite, senza una ragione. Comportamento davvero incomprensibile, per quelli che ben conoscevano la sua carità verso tutti.
Ma non per lei, che aveva insistito, riuscendo infine, a strappargli una visita.
E di nuovo si era messa in viaggio verso il convento, ancor più ansiosa.
Una grande agitazione l’aveva tormentata per tutto il tempo, fino alla porta del convento, oltre la quale, non appena le era apparso, aveva capito. Dietro il sorriso allegro e buono, il suo volto scarno, segnato dal tormento di giorni trascorsi nel dolore, in totale solitudine, senza alcun sollievo, aveva confermato il suo timore.
– Sei pallido – gli aveva detto lei, incapace di celare il dispiacere.
– Sono solo un po’ stanco – le aveva risposto Candido – E’ solo una polmonite non preoccuparti.
Ma lei, accompagnandolo alla cella, aveva insistito, con tante domande.
E alla fine lui, costretto da tanta amorevole tenacia,
– Non vedo un dottore da oltre un mese – aveva ammesso.
A quella notizia, mossa da una profonda indignazione scaturita in lei dal profondo dell’anima, aveva continuato, senza sosta, fino a convincerlo a tornare al paese per curarsi.
– L’aria di casa di aiuterà. Ti rimetterai in salute, vedrai. Appena arriviamo a casa telefono a Flavia. Ti visiterà lei – gli aveva detto.
E alla fine Candido aveva ceduto.
Si era lasciato portare al paese, dove aveva ricevuto le cure, tornando in convento dopo un breve periodo, più riposato e meno sciupato in volto.
Erano bastati pochi giorni. Sembrava proprio si fosse ripreso dalla malattia. E di nuovo lei aveva sperato. Ma, a metà novembre, tutto era crollato di nuovo.
La telefonata di Flavia non aveva lasciato scampo:
– Candido è grave! Ha un tumore! Gli restano due mesi di vita!
Come una tempesta furiosa giunta all’improvviso, quell’annuncio l’aveva travolta spezzandole il respiro, ma non si era lasciata vincere, e subito l’aveva chiamato, al telefono, senza dir nulla ovviamente, per chiedergli come stava.
– E’ una ricaduta della polmonite – le aveva detto lui, cercando di non tradire la fatica del respiro nella voce, per tranquillizzarla. Lei però, non si era fatta vincere, e lo aveva esortato a tornare a casa per curarsi, senza tuttavia ottenere il suo consenso. Anche i giorni successivi lo aveva cercato, con insistenza, continuato a reiterare l’esortazione a tornare a casa. Respinta ogni volta da lui con dolcezza e amore, come faceva sempre quando lo straziava un grande dolore. Candido sembrava ormai deciso a far precipitare il suo ultimo tempo di vita in un’assenza incolmabile.
Ma dopo pochi giorni, era giunta, del tutto inattesa, la sua telefonata.
Le chiedeva aiuto.
E lei era ripartita, subito, preoccupata e allarmata al pensiero dell’inevitabile progresso di quella malattia terribile, questa volta senza apprensione perché ormai sapeva cosa fare.
– Metti un cappotto. Fa freddo e piove – lo aveva esortato dopo averlo aiutato a preparare la grossa valigia.
Candido non si era mosso subito. Prima di lasciare la cella si era guardato lungamente intorno come volesse cercare un’ombra nascosta, poi erano scesi in chiesa, dove si era inginocchiato all’altare maggiore che lui stesso aveva offerto al convento solo tre mesi prima, proprio il giorno della sua vestizione. E lei lo aveva atteso, ansiosa solo di uscire da lì.
Le importava unicamente riportarlo a casa, essergli vicina, proteggerlo, combattere con lui, e accompagnarlo nella malattia, senza far domande, perché continuasse a vivere nella terra natia, là dove la Madonna gli aveva confermato, per bocca di Adelaide, la vocazione sacerdotale. Per questo, aveva preparato una stanza ben arredata, sotto il tetto, come una cella: con un letto, un armadio, la statua della Madonna del Rosario e un tavolino bianco per dire la Messa.
Durante il viaggio di ritorno, Candido le aveva espresso il desiderio di poter avere un cagnolino per compagnia, come Lilly, che aveva sepolto con tanto dolore nella terra di Ari, e, arrivati a casa, le aveva domandato una gran croce sulla quale incollare le decine e decine di piccole reliquie di santi martiri raccolte nei suoi pellegrinaggi.
Quel lavoro, Candido l’aveva iniziato subito, inginocchiato sul pavimento della sua nuova cella, pregando il santo Rosario, col saio bianco di san Domenico, celebrando poi, la Messa, sul piccolo tavolo bianco, coi famigliari, sempre dinnanzi a quella croce, nella quale, il mistero della sua malattia, giorno dopo giorno, si era svelato:
quella croce rappresentava simbolicamente lo spazio sacro della grande storia della Chiesa, segnata dall’immenso sacrificio di tanti martiri, al quale Candido univa il proprio sacrificio, morendo, giorno dopo giorno, insieme a loro.
E lei, vedendolo pregare e soffrire dinnanzi a quella gran croce, giorno dopo giorno, col progredire della malattia, costretta ad avvicinarsi sempre più al suo corpo, aveva capito che doveva accompagnarlo, nella testimonianza di quel grande mistero d’amore, come una madre, a immagine della Madre Dolorosa che accompagna il Cristo alla Croce. Poiché quel corpo non era un corpo qualunque, ma il corpo di un altro Cristo, destinato al Calvario per la salvezza dei peccatori, e poi abitare coi vergini del Cielo.
Verità questa, che si è rivelata in tutta evidenza nei giorni precedenti la sua morte.
Molte volte in quegli ultimi giorni, seduto sulla carrozzina, guardando la finestra, gli occhi persi al cielo sopra la morena, Candido aveva continuato a ripetere: “Portami a casa! Portami a casa! Portami a casa!”.
Lei non capiva, e inutilmente chiedeva.
Sol quando, nella sua ultima settimana di vita, non riuscendo più ad alzarsi, si era preparato a lasciare il proprio corpo alla terra, e un gran profumo di fiori, di gigli in particolare, aveva riempito quella stanza, tutto si era chiarito. Quel profumo di gigli era rimasto nella stanza per tutta quella settimana e in quel profumo di gigli Candido aveva esalato l’ultimo respiro.
Era il segno della presenza della Madre Immacolata scesa in quella povera stanza per condurlo nell’ultimo tratto della via dolorosa fino alla Croce e dalla Croce in Paradiso.
In quei giorni era arrivata anche Adelaide a salutarlo.
Rimasta sola con lui nella stanza, nessuno, ovviamente, ha sentito quel che si sono detti.
Ma di certo non si può dubitare che col pensiero Adelaide gli ha chiesto di attenderla là dove la Madonna, attraverso di lei, gli aveva confermato la sua vocazione sacerdotale, perché poi, da lì, sarebbero saliti al fontanile dedicato ai santi martiri Quirico e Giulitta, e poi, su per la morena, fra arbusti e rovi di robinie e more, fino al ponticello sul canale, e poi ancora, di corsa, lungo il sentiero nel bosco, fino al grande prato dinnanzi al suo casolare, attesi dai bambini martiri per consacrare, col Fanciullo Gesù e la Mamma, la loro meravigliosa storia d’amore, scritta eternamente in Cielo, Che in quel prato li aveva uniti per sempre.
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Di seguito si trascrivono le parole di padre Candido raccolte da un’anima religiosa, una settimana prima della morte.
Gesù! Gesù! Madre del dolore, sta per finire la passione, è l’ora dello spogliamento.
Gesù, l’uomo è solo con te.
Gesù! Quanti Giuda!
Solo, sempre solo, sempre solo, coi propri peccati, Gesù, sempre solo con Te, solo con Te!
Risorgerò! Sì, risorgerò!
E’ l’ora dello spogliamento. Solo la solitudine. Gesù saremo soli.
Il profumo, Voi lo sentite, devo fare la volontà di mio Padre. Gesù, solo con Tuo Padre, solo con Voi. Sono solo aiutami! Solo, nel dolore, c’è sempre Gesù.
Mamma mia! Solo, solo, solo!
Misericordioso Padre, quanto sei buono, io faccio sempre la tua volontà. Fino in fondo la miseria del peccato, così ora legami, portatemi a casa di mio Padre,
slegatemi…
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Testimonianza del suo “angelo custode”
Due giorni prima di morire, padre Candido mi ha chiamato vicino al capezzale, mi ha preso il capo nelle sue mani e mi ha benedetto, dicendomi:
“Ti do la responsabilità come medico di Misericordia di essere come prima di seguire l’arcobaleno. Ti lascio la traccia della divina Misericordia. Piano, piano metteremo tutto a posto con la volontà di Dio”.
E poi guardandomi, disse:
“Ama, ama, ama, tutto e tutti”.
Padre Candido mi chiamava sempre: il mio angelo custode.
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CROCE COMPOSTA DA PADRE CANDIDO CON RELIQUIE DI SANTI

