
Per iniziare a conoscere Candido, dal quale scaturisce la storia delle apparizioni di Ghiaie, si offre il racconto dell’olocausto della sua vita, nel quale si riassume la sua missione sacerdotale che la Madonna prefigurerà nella seconda apparizione del 14 maggio 1944, dicendo ad Adelaide le seguenti parole:
Egli si farà Sacerdote Missionario secondo il mio Sacro Cuore
LA GUARIGIONE DI STEFANO (secondo nome del bambino al quale padre Candido ha donato la vita)
Bambino felice pieno di vita, Stefano un giorno dice alla mamma Maria:
– Mamma sai che mi fa male un po’ qua.
La mamma lo porta al Pronto Soccorso dove conosce dei medici. Dopo un’ora e mezzo a Stefano viene diagnosticato un tumore di diciotto centimetri al rene destro. Che gli viene tolto con intervento chirurgico. Sottoposto a chemioterapia sembra tutto risolto. I medici sono fiduciosi. Ma al ritorno dalla vacanza, dopo i controlli, purtroppo il referto non fa ben sperare. Il papà che ha sentito i medici è preoccupato. La mamma è spaventata.
Un’amica allora propone alla mamma di andare a Sotto il monte. Maria però, preferisce recarsi a Ghiaie perché ricorda di non essere stata ben accolta a Sotto il Monte, mentre a Ghiaie, le avevano detto che ognuno può pregare liberamente. Così, il giorno seguente, con l’amica parte per Ghiaie, e alla cappelletta si unisce a un gruppo di preghiera per la guarigione di Stefano. Poi si allontana per tornare a casa, e sale in automobile. Ma in quel mentre vede arrivare due frati, e si ferma, anche perché l’amica la invita ad andare da loro.
Maria però, è perplessa. Le chiede cosa possa interessare a quei religiosi la malattia del proprio figliolo. – Ma è il loro mestiere – le dice l’amica. Confortata da queste parole Maria acconsente, scende dall’automobile, e si trova di fronte a padre Candido.
– Cosa c’è mamma, cosa c’è? – le domanda padre Candido vedendola afflitta.
– Mio figlio! Mio figlio! – risponde Maria fra le lacrime.
– Ce l’ha una foto di suo figlio? – le domanda padre Candido.
Maria non capisce a cosa può servire, ma cerca nel portafoglio e gli offre una foto del figlio.
– Dobbiamo pregare. Mi dia il suo numero di telefono – le dice ancora padre Candido guardando la foto. – Sono un frate domenicano di Bologna e sono qui di passaggio – la rassicura – Dobbiamo pregare. Vado subito dalle suore di Azzano. Dobbiamo pregare per il bambino.
Tornata a casa, Maria racconta l’incontro con quel frate al marito, e proprio mentre lo ricorda suona il telefono. E’ padre Candido. Sono passate due ore dall’incontro alla cappelletta
-Vorrei vedere il suo bambino – le dice padre Candido al telefono.
Maria non capisce. – Ma come posso recarmi a Bologna?- gli domanda.
– Sono ancora qui, alloggiato da una parente. Venga di nuovo alle Ghiaie. Ci troviamo in Parrocchia. Vorrei vedere il suo bambino – le ripete.
Maria non esita. Accetta. Gli propone l’incontro per la sera, e ritorna a Ghiaie con l’amica e Stefano.
Padre Candido li aspetta in chiesa.
Non appena lo vede, Stefano lascia la mano della mamma e va incontro spontaneamente a padre Candido come lo conoscesse, e insieme si recano dinnanzi all’immagine della Madonna, a sinistra dell’altare.
Quella sera Maria torna a casa più tranquilla.
Ma il giorno seguente tutto sembra peggiorare, perché, all’ospedale, i medici riscontrano una metastasi polmonare.
Ricoverato d’urgenza Stefano viene operato.
Purtroppo, l’operazione riesce solo parzialmente. Il tumore polmonare è diffuso. Serve rioperarlo, dicono i medici. Ma Stefano non vuole. E’ molto provato.
Maria non resiste. Si oppone a un nuovo intervento. Torna a casa e chiama subito padre Candido – Non era un solo nodulo, ma più di uno – gli dice Maria. – E sì – conferma padre Candido come già sapesse – Ma non ha mai pensato ad uno spostamento di ospedale, a Milano? – le domanda.
Maria non capisce quel consiglio. Non sa che fare. Dopo mezz’ora però, ignaro del consiglio di padre Candido, il marito propone a Maria di spostare il bambino all’Istituto Tumori di Milano su indicazione del nipote della cognata che ha incontrato il Viceprimario della Pediatria Oncologica. – Proprio come mi ha detto padre Candido! – gli conferma stupita Maria.
E così Stefano viene spostato con celerità a Milano. Mentre padre Candido torna al Convento di Bologna, da dove segue il decorso della malattia di Stefano. Ogni giorno gli parla al telefono e lo solleva dagli effetti delle cure chemioterapiche.
Purtroppo, qualche giorno più tardi viene riscontrata un’ombra nera nel polmone del bimbo, all’altezza della terza costola destra. I medici sono allarmati. Hanno visto in quell’ombra l’estensione del tumore. Ma padre Candido, sicuro la tranquillizza: – E’ il segno dell’intervento operatorio precedente – le dice.
Alcuni giorni dopo, i medici le annunciano meravigliati, che l’ombra è svanita e Stefano, perfettamente guarito, può lasciare l’ospedale.
Giusto in tempo per portarlo a Bologna, alla cerimonia d’ingresso di padre Candido nella Congregazione dei frati domenicani.
E’ un vero trionfo. Una festa grande!
Dopo quel giorno però, tutto cambia di nuovo.
Padre Candido non si fa trovare. Cerca di evitare le visite perché è gravemente ammalato, ma non vuol farlo sapere. Tutti devono ignorare, eccetto il medico curante, che soffre di un cancro ai polmoni insorto proprio nello stesso punto nel quale il male aveva aggredito Stefano per farlo morire.
E dopo qualche anno, minato da quel male, lo stesso che avrebbe stroncato la vita di Stefano, padre Candido passa oltre questa vita, accompagnato nel dolore dall’Emanuel.
(I documenti che attestano questa guarigione sono conservati dalla famiglia di Stefano)
PICCOLO GRAPPOLO
L’offerta di padre Candido, olocausto d’amore e testimone della paternità di Dio, la si comprende nel seguente scritto, frutto di un’adorazione Eucaristica, ritrovato dopo la sua morte.
Piccolo grappolo maturo che rosseggi al sole, così colmo e gonfio di nettare che diventerà sangue nelle mie mani e laverà le scorie del tuo spirito che splenderà al fuoco irresistibile del mio amore, ti prego lasciati torturare dal tuo Dio che ti pensa e ti ricostruisce giorno dopo giorno con infinita pazienza. Sono stato Io ad inventare il lavoro dello spirito. sono Io che sto camminando lungo i filari dei miei prediletti grappoli. Ed oggi mi fermo con passo sicuro davanti a te e sento il profumo della terra; olezzanti di erbe sono i miei piedi che spandono nel campo la mirra della solitudine e del deserto. Sono Io che mi fermo e ti fisso con sguardo profondo quasi a leggerti l’anima al sole meridiano. Sono Io piccolo grappolo rivestito del velluto rosso che attendevi alle tue nozze. Vedo le ferite che come bocche rosseggiano al sole e mi attira lo stillare silenzioso del tuo sangue che dal profondo cuore sale alla superficie per innamorare Colui che tu ami e attendi nel mistero di una mistica morte che non viene mai da quando è cominciata ed esplode in un canto innamorato che mi conquide il cuore. E sto in adorazione ascoltando l’armonia di parole mai dette che mi legano al tralcio armonioso quasi fosse vivo braccio che vuol trattenermi in colloquio infocato di forza misteriosa e mi trattiene e mi devo fermare. Chi sei tu per me grappolo rosso se non l’olocausto, il sogno di un Dio che, ferito nell’anima ferma il suo piede davanti a te? Chi sei nella tua solitudine se non un pensiero che m’ero dimenticato lungo il dissodare il campo del padre mio. Tu sei un segreto che ho lasciato apposta appeso ai filari perché mi cantasse la sinfonia di tempi passati, eterni, non tanto recenti. Vorrei coglierti, spremerti nelle mie mani, sentire il tuo silente martirio per farmi dissetare mentre sta bruciando il mio amore, piccolo grappolo abbandonato per far piacere a Dio. Ti bevo piccolo calice amoroso e ti benedico di aver appagato l’arsura divina di un pellegrino in cerca di pietà. Ora sei in me vivissimo, ti sento come un bimbo abbandonato sul cuore di una madre felice di aver donato tutto; e ti senti ricco e povero perché al risveglio di domani una nuova missione di impegno ti attende. Lo sai che i ministri miei devono essere come me strenui camminatori, martiri d’amore, scaltri operai della Misericordia, insonni lottatori, olocausti sino all’ultima goccia. A volte li uso come acido per purificare, ma li voglio senza guanti perché capiscano che devono giocare sulla loro pelle bruciata e sanguinolente il dono della redenzione dei loro fratelli e figli. Vi voglio mai stanchi, mai fermi, ma operai con l’aratro in mano per fendere in due il male e offrire così al sole di Dio le piaghe del dolore. A te, ora che ho spremuto impaziente e avidamente ho bevuto al calice del cuore tremante e amante, il mio messaggio che scrivo col mio fuoco ardente e purificatore. E se desideri essere docile scalpellerò con i chiodi arrugginiti del Calvario per trarne il volto nuovo di una paternità simile alla mia. So che mi sogni e sei abituato a calcare la strada impervia e crocifiggente del martirio d’amore e della solitudine. Voglio lavorarti fino all’anima. Non desidero che gli amici di viaggio ti dicano frasi banali. Voglio che vedano il Cristo totale in te che porta sulle spalle il pianto, la carne lacerata, l’anima tramortita dal malvagio dei tuoi fratelli. Oggi però voglio che assapori la gioia della nuova paternità per il mio piccolo fiore, quello che ami chiamare il tuo…. Te lo affido come mia proprietà perché per me hai rinunciato alla paternità umana. Tienilo nel tuo cuore, accarezzalo innamorati di lui, di quell’anima limpida. Te lo metto vicino perché gli sia da padre come per me lo fu Giuseppe mio. Il valore della paternità, lo capisci è amare, è essere insonne, è dimenticare per essere lui. E’ la paternità spirituale che è simile a quella di Dio.
*
Continuiamo a conoscere Candido, raccontando la sua morte.
prima di iniziare ricordiamo che, ordinato sacerdote nel 1959 nella Congregazione dei Missionari del Cuore di Maria, dopo 29 anni, nel 1988, Candido chiede di essere accolto nell’Ordine di san Domenico, dove percorre tutte le tappe, Postulandato e Noviziato, emettendo i voti solenni, a 64 anni, il giorno 11 settembre 1994; data d’inizio del successivo breve racconto, nel quale, con il pronome “lei” si indica la persona che lo ha accompagnato per tutto il tempo della malattia fino al suo ultimo respiro.
LA MORTE DI PADRE CANDIDO
Anche lei era presente quel giorno, alla cerimonia, ansiosa più degli altri di vederlo finalmente felice. Perché, più degli altri, sapeva bene quanto gli era costato ricominciare coi ragazzi del noviziato, nonostante fosse prete da 30 anni, e quale pena aveva conservato nel segreto del cuore, senza mai dire nulla. Per tutto il viaggio aveva temuto di scorgere ancora sul suo volto quel dolore nascosto. Ma nel vederlo finalmente tanto allegro, gioviale, sereno e fiero, si era rasserenata. Candido aveva distribuito a tutti, radioso in volto, abbracci e sorrisi; un po’ affaticato, ma veramente felice, proprio come colui che dopo una faticosa salita giunge in vista della vetta tanto agognata. E anche lei, quel giorno, come gli altri aveva nutrito nel cuore la speranza che tutto fosse passato, finalmente.
Nei giorni seguenti, però, l’apprensione aveva preso di nuovo il sopravvento quando non si era fatto trovare. E non solo da lei. Come avesse voluto nascondersi, Candido aveva evitato le visite, senza una ragione. Comportamento davvero incomprensibile, per quelli che ben conoscevano la sua carità verso tutti.
Ma non per lei, che aveva insistito, riuscendo infine, a strappargli una visita.
E di nuovo si era messa in viaggio verso il convento, ancor più ansiosa.
Una grande agitazione l’aveva tormentata per tutto il tempo, fino alla porta del convento, oltre la quale, non appena le era apparso, aveva capito. Dietro il sorriso allegro e buono, il suo volto scarno, segnato dal tormento di giorni trascorsi nel dolore, in totale solitudine, senza alcun sollievo, aveva confermato il suo timore.
– Sei pallido – gli aveva detto lei, incapace di celare il dispiacere.
– Sono solo un po’ stanco – le aveva risposto Candido – E’ solo una polmonite non preoccuparti.
Ma lei, accompagnandolo alla cella, aveva insistito, con tante domande.
E alla fine lui, costretto da tanta amorevole tenacia,
– Non vedo un dottore da oltre un mese – aveva ammesso.
A quella notizia, mossa da una profonda indignazione scaturita in lei dal profondo dell’anima, aveva continuato, senza sosta, fino a convincerlo a tornare al paese per curarsi.
– L’aria di casa di aiuterà. Ti rimetterai in salute, vedrai. Appena arriviamo a casa telefono a Flavia. Ti visiterà lei – gli aveva detto.
E alla fine Candido aveva ceduto.
Si era lasciato portare al paese, dove aveva ricevuto le cure, tornando in convento dopo un breve periodo, più riposato e meno sciupato in volto.
Erano bastati pochi giorni. Sembrava proprio si fosse ripreso dalla malattia. E di nuovo lei aveva sperato. Ma, a metà novembre, tutto era crollato di nuovo.
La telefonata di Flavia non aveva lasciato scampo:
– Candido è grave! Ha un tumore! Gli restano due mesi di vita!
Come una tempesta furiosa giunta all’improvviso, quell’annuncio l’aveva travolta spezzandole il respiro, ma non si era lasciata vincere, e subito l’aveva chiamato, al telefono, senza dir nulla ovviamente, per chiedergli come stava.
– E’ una ricaduta della polmonite – le aveva detto lui, cercando di non tradire la fatica del respiro nella voce, per tranquillizzarla. Lei però, non si era fatta vincere, e lo aveva esortato a tornare a casa per curarsi, senza tuttavia ottenere il suo consenso. Anche i giorni successivi lo aveva cercato, con insistenza, continuato a reiterare l’esortazione a tornare a casa. Respinta ogni volta da lui con dolcezza e amore, come faceva sempre quando lo straziava un grande dolore. Candido sembrava ormai deciso a far precipitare il suo ultimo tempo di vita in un’assenza incolmabile.
Ma dopo pochi giorni, era giunta, del tutto inattesa, la sua telefonata.
Le chiedeva aiuto.
E lei era ripartita, subito, preoccupata e allarmata al pensiero dell’inevitabile progresso di quella malattia terribile, questa volta senza apprensione perché ormai sapeva cosa fare.
– Metti un cappotto. Fa freddo e piove – lo aveva esortato dopo averlo aiutato a preparare la grossa valigia.
Candido non si era mosso subito. Prima di lasciare la cella si era guardato lungamente intorno come volesse cercare un’ombra nascosta, poi erano scesi in chiesa, dove si era inginocchiato all’altare maggiore che lui stesso aveva offerto al convento solo tre mesi prima, proprio il giorno della sua vestizione. E lei lo aveva atteso, ansiosa solo di uscire da lì.
Le importava unicamente riportarlo a casa, essergli vicina, proteggerlo, combattere con lui, e accompagnarlo nella malattia, senza far domande, perché continuasse a vivere nella terra natia, là dove la Madonna gli aveva confermato, per bocca di Adelaide, la vocazione sacerdotale. Per questo, aveva preparato una stanza ben arredata, sotto il tetto, come una cella: con un letto, un armadio, la statua della Madonna del Rosario e un tavolino bianco per dire la Messa.
Durante il viaggio di ritorno, Candido le aveva espresso il desiderio di poter avere un cagnolino per compagnia, come Lilly, che aveva sepolto con tanto dolore nella terra di Ari, e, arrivati a casa, le aveva domandato una gran croce sulla quale incollare le decine e decine di piccole reliquie di santi martiri raccolte nei suoi pellegrinaggi.
Quel lavoro, Candido l’aveva iniziato subito, inginocchiato sul pavimento della sua nuova cella, pregando il santo Rosario, col saio bianco di san Domenico, celebrando poi, la Messa, sul piccolo tavolo bianco, coi famigliari, sempre dinnanzi a quella croce, nella quale, il mistero della sua malattia, giorno dopo giorno, si era svelato:
quella croce rappresentava simbolicamente lo spazio sacro della grande storia della Chiesa, segnata dall’immenso sacrificio di tanti martiri, al quale Candido univa il proprio sacrificio, morendo, giorno dopo giorno, insieme a loro.
E lei, vedendolo pregare e soffrire dinnanzi a quella gran croce, giorno dopo giorno, col progredire della malattia, costretta ad avvicinarsi sempre più al suo corpo, aveva capito che doveva accompagnarlo, nella testimonianza di quel grande mistero d’amore, come una madre, a immagine della Madre Dolorosa che accompagna il Cristo alla Croce. Poiché quel corpo non era un corpo qualunque, ma il corpo di un altro Cristo, destinato al Calvario per la salvezza dei peccatori, e poi abitare coi vergini del Cielo.
Verità questa, che si è rivelata in tutta evidenza nei giorni precedenti la sua morte.
Molte volte in quegli ultimi giorni, seduto sulla carrozzina, guardando la finestra, gli occhi persi al cielo sopra la morena, Candido aveva continuato a ripetere: “Portami a casa! Portami a casa! Portami a casa!”.
Lei non capiva, e inutilmente chiedeva.
Sol quando, nella sua ultima settimana di vita, non riuscendo più ad alzarsi, si era preparato a lasciare il proprio corpo alla terra, e un gran profumo di fiori, di gigli in particolare, aveva riempito quella stanza, tutto si era chiarito. Quel profumo di gigli era rimasto nella stanza per tutta quella settimana e in quel profumo di gigli Candido aveva esalato l’ultimo respiro.
Era il segno della presenza della Madre Immacolata scesa in quella povera stanza per condurlo nell’ultimo tratto della via dolorosa fino alla Croce e dalla Croce in Paradiso.
In quei giorni era arrivata anche Adelaide a salutarlo.
Rimasta sola con lui nella stanza, nessuno, ovviamente, ha sentito quel che si sono detti.
Ma di certo non si può dubitare che col pensiero Adelaide gli ha chiesto di attenderla là dove la Madonna, attraverso di lei, gli aveva confermato la sua vocazione sacerdotale, perché poi, da lì, sarebbero saliti al fontanile dedicato ai santi martiri Quirico e Giulitta, e poi, su per la morena, fra arbusti e rovi di robinie e more, fino al ponticello sul canale, e poi ancora, di corsa, lungo il sentiero nel bosco, fino al grande prato dinnanzi al suo casolare, attesi dai bambini martiri per consacrare, col Fanciullo Gesù e la Mamma, la loro meravigliosa storia d’amore, scritta eternamente in Cielo, Che in quel prato li aveva uniti per sempre.
*
Le parole di padre Candido raccolte da un’anima religiosa, una settimana prima della morte.
Gesù! Gesù! Madre del dolore, sta per finire la passione, è l’ora dello spogliamento.
Gesù, l’uomo è solo con te.
Gesù! Quanti Giuda!
Solo, sempre solo, sempre solo, coi propri peccati, Gesù, sempre solo con Te, solo con Te!
Risorgerò! Sì, risorgerò!
E’ l’ora dello spogliamento. Solo la solitudine. Gesù saremo soli.
Il profumo, Voi lo sentite, devo fare la volontà di mio Padre. Gesù, solo con Tuo Padre, solo con Voi. Sono solo aiutami! Solo, nel dolore, c’è sempre Gesù.
Mamma mia! Solo, solo, solo!
Misericordioso Padre, quanto sei buono, io faccio sempre la tua volontà. Fino in fondo la miseria del peccato, così ora legami, portatemi a casa di mio Padre,
slegatemi…
*
Testimonianza del suo “angelo custode”
Due giorni prima di morire, padre Candido mi ha chiamato vicino al capezzale, mi ha preso il capo nelle sue mani e mi ha benedetto, dicendomi:
“Ti do la responsabilità come medico di Misericordia di essere come prima di seguire l’arcobaleno. Ti lascio la traccia della divina Misericordia. Piano, piano metteremo tutto a posto con la volontà di Dio”.
E poi guardandomi, disse:
“Ama, ama, ama, tutto e tutti”.
Padre Candido mi chiamava sempre: il mio angelo custode.
(All’inizio dell’articolo, parte di uno scritto di padre Candido dal titolo “piccolo grappolo”. Vedi in: “Padre Candido: l’offerta della vita”)
CROCE COMPOSTA DA PADRE CANDIDO CON RELIQUIE DI SANTI

