Nell’estate dell’anno 2002 ho chiesto alla dottoressa Flavia, che ha curato padre Candido negli ultimi mesi di vita, di offrirmi una sua testimonianza sul rapporto fra la vita di padre Candido e il dolore. Di seguito, le sue preziose considerazioni, inviatemi il giorno 22 agosto 2002 (da sottolineare il passaggio della testimonianza, nel quale padre Candido propone, alla dott.a Flavia, “l’Atto di Abbandono a Gesù” di don Dolindo Ruotolo, che si rivela perciò, quale fonte rilevante della spiritualità dello stesso padre Candido).
Riteniamo molto importante questa testimonianza perché racchiude, in breve, i cardini della vita e dell’anima di padre Candido, santo sacerdote e grande poeta.

Padre Candido era un uomo di grande fede e di grande umanità. La sua fede, da come l’ho potuta conoscere io, era totale: qualunque problema o dolore provasse lo portava davanti al tabernacolo; passava ore in preghiera, a volte notti intere e da questo trovava forza e serenità.
La sua vita di sacerdote, sempre in mezzo alla gente, ma alla fine sempre solo con i suoi pensieri o dolori, lo aveva portato ad avere un solo grande, vero, unico Amico al quale poter confidare le sue pene: Dio e la sua madre Maria per la quale aveva una devozione speciale. Per lui la Madonna era la “mamma” e in questo era come un bambino; quando aveva un dubbio, un problema, correva dalla mamma, e le parlava, si confidava, trovava conforto. Ho detto che era solo: penso, come tutte le anime consacrate che non possono attaccare il cuore a nessuna cosa del mondo (pur conservando i giusti affetti della vita) padre Candido era davvero solo con Dio.
Voglio dire che la sua solitudine era piena di Dio; da sempre viveva la sua vita in comunione con lui. Sono convinta che per padre Candido questo era il suo spazio vitale; con Dio nel cuore aveva con sé tutto: la casa, la famiglia, i beni, i sogni, il mondo. Io spesso gli dicevo che era “assolutista” e lui rideva. Era un uomo veramente libero. Un altro aspetto della sua fede, come ho sentito dire nell’omelia fatta dal padre Provinciale alla sua morte è che era fede semplice, immediata, “sporca di terra”, non una fede rarefatta, asettica, che ha il torto, appunto, di essere talmente sicura da non risultare più contagiosa.
A volte quando parlavamo di argomenti religiosi mi rimproverava perché, diceva: “tu vuoi tutto vivisezionare”; e aggiungeva: “se non sarete come bambini non entrerete nel regno dei cieli”. Con questo non voglio che si fraintenda il mio dire: padre Candido non era “semplicistico”, tutt’altro; la sua fede era così profonda che ti toccava il cuore , ti sentivi più pulito dopo aver parlato con lui, eppure non imponeva le cose, ti diceva: “per me è così, pensaci”. E ti accorgevi che aveva ragione, che il suo consiglio era giusto. Diceva spesso: “fatti santa!”, e quando replicavo se fosse facile essere santi…aggiungeva: “i santi sono persone comuni che fanno la volontà di Dio giorno dopo giorno, nel posto dove li ha messi”.
Amava molto i bambini, la loro spontaneità, la loro anima innocente e quando li incontrava si fermava a parlare e rideva con loro. Una volta mio figlio di 4 anni gli chiese: “perchè sei vestito così?” E lui con parole semplici gli spiegò che quell’abito era un segno nel mondo per ricordare agli uomini il cielo.
La sua più grande dote, a mio parere, era la sua profondissima umanità: viveva nel mondo e conosceva i problemi degli uomini. Con lui si poteva parlare delle proprie miserie senza vergognarsi. Aveva una grande anima gentile; era sempre disponibile ad ascoltare, ad aiutare, a compatire. Non giudicava, ma correggeva con bontà. Spesso mi sono chiesta se chi si rivolgeva a lui per preghiere o consigli, poi si ricordasse di lui, magari nella preghiera…chissà; troppe volte la vita vertiginosa e distratta di tutti non lascia spazi a una riflessione e chi dà la vita per gli altri è umile e dimenticato.
Come ho detto, era molto umano perché aveva una grande sensibilità e il dolore vero lo colpiva fin nell’anima. Era un suo cruccio questa sua enorme sensibilità che lo faceva tanto soffrire, ma, aggiungeva, è anche un dono perché riesci a comprendere con il cuore gli altri.
Una contraddizione io notavo in lui: amava la vita, era una persona gioiosa, stava bene in compagnia, aveva un profondo senso estetico e nello stesso tempo era così spirituale. Io non capivo come potessero conciliarsi le due cose e glielo dicevo. Sorrideva e diceva che bisogna amare la vita per poterla vivere bene; diceva che c’è un frammento di bene che si nasconde anche nel male, una resurrezione in ogni morte; e dopo ogni venerdì santo c’è sempre la Pasqua. Per lui il dolore, che pur rimaneva un mistero, era un passaggio obbligato della condizione umana. Diceva spesso: “amare significa soffrire” e faceva l’esempio della mamma che soffre tanto per il suo bambino nel metterlo al mondo e anche per tutta la vita, eppure non smette di amarlo. Diceva anche che: “più spazio fa il dolore in un’anima, più questo spazio lo riempie Dio”. Provava pietà per qualunque sofferenza e ne prendeva su di sé il peso.
In una sua Messa mi ricordo ha detto: “i sacrifici, le rinunce, il dolore quotidiano portato all’altare nell’ostia consacrata, fa presente Dio agli uomini”.
Diceva anche: “quando ci si avvicina a un ammalato bisogna ricordarsi che non è solo un corpo, ma un’anima è richiede delicatezza e rispetto”. Padre Candido conosceva bene il dolore, il limite, il senso di impotenza, la domanda: “perché Signore, proprio a me?”. Diceva: “la croce se la trascini ribellandoti ti pesa, ti pesa; se la porti con rassegnazione e preghiera si cambia in benedizione. Portava l’esempio di un santo (di cui non ricordo il nome) che diceva: “quando sei nel dolore, quando una cosa va male, dì forte: Signore pensaci tu. Lascia a Dio la cura delle tue cose e calmati. Ti dico davvero che ogni atto di vero, cieco, completo abbandono in Dio produce l’effetto che desideri e risolve le situazioni spinose. E quando deve portarti in una via diversa da quella che vedi tu, Lui ti addestra, ti porta sulle sue braccia perché non c’è medicina più potente di un suo intervento d’amore. Riposa in Lui credendo nella sua bontà e vedrai che dicendo con queste disposizioni “pensaci tu”, Lui ci pensa in pieno, ti consola, ti libera, ti conduce. Tu vuoi tutto valutare, tutto scrutare, a tutto pensare e ti abbandoni così alle forze umane, o peggio agli uomini, confidando nel loro intervento. E’ questo che intralcia l’intervento di Dio. Perciò quando vedi che le cose si complicano dì con gli occhi dell’anima chiusi: “Gesù pensaci tu”. E distraiti perché la mente è acuta ed è difficile vedere il male e confidare nel bene. Fa’ così per tutte le tue necessità e vedrai grandi, continui, silenziosi miracoli. Dio ci penserà te lo assicuro. Prega sempre con questa grande disposizione e di abbandono e ne avrai grande pace e grande frutto anche quando l’Amore ti chiede la sofferenza. Chiudi gli occhi e dì con tutta l’anima: “Gesù pensaci tu”. Non temere. Lui ci pensa. Tutte le tue preghiere non valgono un atto di fiducioso abbandono. Ricordalo bene. Non c’è novena più efficace di questa: “Gesù mi abbandono in te, pensaci Tu”.
Non aggiungo altro spero che il ricordo di padre Candido continui a far del bene alle anime.
che splendida “anima consacrata” era Padre Candido…legato ad Adelaide dalla medesima sofferenza, dallo stesso abbandono nelle braccia di Maria.
Che meraviglia vederlo vestito con la talare tanto cara alla Madonna,
noi non abbiamo più la “grazia” di avere sacerdoti con la talare…tutto cambierebbe….tutto
Mi ha molto commosso leggere il ricordo di Flavia , che ricordo con grande affetto , ogni espressione entrava nel mio cuore e rivedevo esattamente le espressioni gioiose e confortevoli che padre Candido riusciva sempre a trasmettere. Riconoscendo anche il dolore e la grande sensibilità nella sofferenza della quale se ne prendeva peso. Grazie Flavia!!❤️